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...a dissoluzione dei generi compiuta, malamente violate le soglie del XXI secolo, altre domande si aggiungono: cosa sono adesso nella pittura il ritratto, l’autoritratto, il mito, l’autobiografa e la biografia, l’anamorfosi l’icona, le facoltà metamorfosanti dello sguardo - e che ne è di quello sguardo? Con la scoperta brutalità che il pittore attribuisce ai suoi modi di procedere saremmo tentati di rispondere: terreni d’invenzione, anzi invenzioni entro una scena che non si manifesta altrimenti che come inizialmente doppia - quella della pittura appunto. E qui si incorre in apparenti tautologie, vale a dire che un quadro è un quadro, vale a dire una superficie colorata(ma lo sono anche una tovaglia o il ripiano di una scrivania, senza per questo essere quadri, si potrebbe obiettare da Wittgenstein in giù) - su tautologie apparenti di questo tipo insisteva già Paolo Fossati a metà dei settanta, accostando implicitamente l’esperienza di Mantovani a quella della Pittura-Pittura o nuova pittura che la si chiamasse, celebrando al tempo stesso, e qui peccava forse di ottimismo, la caduta delle velleità concettual–poveristiche in voga, che davano segnali di crisi, se non di fattuale esaurimento; eppure le cose non andarono così. Né per le sorti discutibili delle arti, da allora ad oggi, né tantomeno per quelle specifiche attraversate dal pittore, a partire da quella astrazione radicale e postpittorica che Aldo Passoni aveva letto come antipittura portatrice di un appello forte proprio ai fascini e ai fastigi della pittura medesima; si aggiunga qui: uno svuotare la scena per farne possibile luogo di apparizioni e attese che non conoscono fretta. Il prima viene poi ed il poi viene prima, così mi suggeriva lo stesso Mantovani... 
Riccardo Cavallo
da "Pino Mantovani. La pittura", Bolaffi, 2007, catalogo della mostra "Pino Mantovani. La concretezza del vuoto", a cura di Ivana Mulatero, Torino,  Sala Bolaffi, 18 ottobre - 18 novembre 2007 



